«Abbiamo sete di giustizia, non si può accettare né può rimanere senza tutele un lavoro disumano intrapreso solo per lo stato di bisogno». Esordiscono così alcuni dei 22 lavoratori “reclutati” negli anni scorsi come “soci” di cooperative di un “Consorzio” ufficialmente operante alla periferia di Misterbianco nel “trattamento e smaltimento di rifiuti industriali e speciali” (e nella “raccolta di rifiuti solidi non pericolosi”) e che dichiarano di aver cominciato a «ribellarsi e richiedere i propri diritti» al datore di lavoro un paio d’anni fa, «rimanendoci finora con le ossa rotte». «In 5 licenziati - precisano - e altri 7 costretti a dare le dimissioni per giusta causa, attualmente con l’indennità di disoccupazione che per qualcuno sta già per scadere».
Coraggio ed esasperazione nell’accorata denuncia sociale, mentre proseguono le indagini e le procedure amministrative e giudiziarie. Un gruppo di lavoratori invoca caldamente l’aiuto della stampa, oltre a quello dello Stato, degli organi inquirenti e della magistratura, mettendoci la faccia e assumendosi ogni responsabilità e rischio nell’elencare senza remore al cronista una serie di “soprusi” e situazioni che avrebbero dell’incredibile e che sono stati anche oggetto di varie segnalazioni e denunce, «di qualcuna delle quali - è lo sfogo - non abbiamo successive notizie».
«Costretti a lavorare come “schiavi” - ci dice Maria Cristina Manueli - a 5 euro all’ora per 10 ore al giorno, per differenziare e smaltire ogni sorta di rifiuti, con una sola breve pausa per i bisogni fisiologici e nessun diritto, firmando buste paga “fasulle” di cui una parte obbligatoriamente restituita in nero, con ritenute Irpef non versate all’erario, senza gli 80 euro di Renzi, periodicamente costretti a dimissioni e riassunzioni e senza alcun diritto al Tfr (anch’esso da restituire ogni volta), continuamente “mobbizzati” su ogni dettaglio da datori di lavoro sedicenti “inattaccabili”, e soprattutto in condizioni disumane sotto il profilo logistico e igienico-sanitario».
E il suo collega Alessandro Di Gaetano non esita a mostrarci foto e video raccapriccianti, sul luogo di lavoro e sui materiali quotidianamente trattati per la differenziazione: «Plastica, siringhe, materiale farmaceutico e sanitario, acidi, amianto, perfino carcasse, insomma di tutto, roba proveniente da vari Comuni; senza l’uso di mascherine, risparmiando anche sui guanti, esposti a ferite e allergie e panico; senza alcun controllo sanitario, né uscite di sicurezza», insomma, un “inferno” in parte documentato dai lavoratori, a fronte di retribuzioni e contribuzioni irrisorie. E un’altra dipendente dichiara di avere in mano registrazioni audio sul posto di lavoro estremamente significative.
«Una situazione di quotidiano sfruttamento fisico e morale vergognoso - riassume Di Gaetano - da noi affrontata per poter portare del pane a casa, tra minacce e ritorsioni, alla quale abbiamo deciso di ribellarci, ma finora purtroppo senza alcun esito concreto. Sono intervenuti sindacati, Ispettorato del lavoro, Carabinieri, Inps, Guardia di Finanza, mentre al posto nostro con altre denominazioni aziendali si reclutavano altri lavoratori. Non intendiamo rassegnarci all’eventuale presenza di “poteri forti”, vogliamo che la gente almeno sappia, grazie a voi organi di stampa, e aspettiamo giustizia».
Come dire “All’inferno e ritorno”. Nel riferire subito sulle condizioni agghiaccianti da “terzo mondo” denunciate al nostro giornale, ci atteniamo esclusivamente agli atti e alle dichiarazioni. A ciascuno il suo ruolo, nel pieno rispetto della legge e del lavoro degli organi inquirenti; e la giustizia farà doverosamente il suo corso. Ora la complessa e incredibile vicenda è in mano agli avvocati, agli inquirenti e alla magistratura. Dovrebbe esserci un ampio fascicolo, c’è comunque una richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei titolari dell’azienda, depositata dal Pm; e una prima udienza già fissata dal Gip del Tribunale di Catania per il 5 aprile scorso rinviata «per questioni procedurali». Nella richiesta di rinvio a giudizio, si legge tra l’altro di «manodopera illecitamente reclutata; condizioni di obiettivo sfruttamento su orario di lavoro e retribuzioni approfittando dello stato di bisogno; costrizione alle dimissioni e alla restituzione del Tfr in nero dietro minaccia; un meccanismo fraudolento teso ad abbattere i costi di gestione del personale senza i benefici della mutualità; mancato riconoscimento delle ferie e delle indennità contributive; reiterata corresponsione di retribuzioni difformi dalla contrattazione collettiva; condizioni di lavoro in spregio alle normative in materia di igiene e sicurezza; illecita adozione di metodi di sorveglianza a distanza con telecamere interne non autorizzate; ingiusto profitto patrimoniale dalle somme rese in nero». Tra le “fonti di prova”, vengono fin d’ora citate cinque “note” dei Nuclei investigativi dei Carabinieri. Un procedimento penale nel quale le “parti offese” dovrebbero costituirsi parte civile. Mentre una giovane dipendente ci anticipa di essere già pronta a cercarsi un futuro all’estero: «Non potranno mai esserci un inferno e una tortura simili».
Ancora una volta, dal “mondo” senza regole e confini legato alla travagliata e spesso illegale gestione dei rifiuti, arrivano inquietanti notizie che fanno seriamente riflettere e - se del tutto veritiere - fortemente indignare.
La Sicilia
11/06/2019