Festival verghiano: Verga restituito alla nuda parola:

Affascinante ri-lettura allo Stabile di Catania con la regia di Nino Romeo di alcune pagine celeberrime, fra teatro e letteratura.

Nel
vuoto gelido e acuminato della scena, una penombra dai contorni decisi e per
nulla rassicurante, la parola infiamma, s’incide, dilata l’immobilità dei
corpi che la producono: diventa, sola, Teatro. Con “Cavalleria e dintorni”,
la lettura drammatizzata di Giovanni Verga che il Gruppo Iarba ha presentato per
il Festival Verghiano, Nino Romeo, cui vanno ascritte drammaturgia e
composizione scenica, offre alla platea colma del Teatro Verga una singolare
lezione di stile. La lettura si offre come un continuum densissimo in cui il
rischio naturalistico, (quello consolidato dalla tradizione), non è nemmeno
posto: si succedono così le pagine de “La Lupa”, di “Cavalleria
rusticana” (opposta alle cinque scene dell’omonimo dramma), di “Rosso
Malpelo”. Alla voce di Graziana Maniscalco ferma e vigorosa si aggiungono, in
un atipico quartetto, quelle di Sara Emmolo, di Elena Ragaglia, di Salvatore
Valentino e la cui nera solitudine è colmata/accompagnata da altrettante sedie:
un vero e proprio elemento totemico degli allestimenti di Romeo. A sublimare una
tragica atmosfera (quasi kafkiana) il commento musicale eseguito in scena da
Franco Lazzaro: note di sapore minimalista che riescono ad espandersi sfruttando
ora alcune inflessioni techno, ora ammiccando agli intrecci fitti e solenni (che
ricordano il migliore Elfman), ora rendendo quasi onomatopeicamente ambienti e
situazioni. Nel rispetto delle pause della ‘narratio’ e nel culmine della spannung,
questa musica è davvero una seconda voce, personaggio anch’essa e che solo in
certo teatro contemporaneo trova spessore di protagonista (pensiamo a Mario
Martone, per esempio). Nel mondo dell’interesse personale, glacialmente oeconomicus
di Verga in cui nessuna fuga è possibile se non verso inferni peggiori, verso
lacerazioni più definitive, manca assolutamente la dimensione catartica, per
quanto la sua letteratura possa essere ravvicinata – per esplicita conferma
dello stesso Romeo – al “phantasma” della tragedia classica: l’epica è
solo nella grandezza dei personaggi (la Santuzza di Cavalleria o il Malpelo
dell’omonima novella), la morte è l’unico orizzonte: la Provvidenza non
riemerge.

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