La prima della nuova stagione si è inaugurata riproponendo "Questa terra diventerà bellissima" di Felice Cavallaro.
Una
prima è sempre una prima, anche se è una replica. Perciò il Teatro Verga, che
apriva la stagione dello Stabile (ri)proponendo “Questa terra diventerà
bellissima” di Felice Cavallaro, era tutto in ghingheri: amministratori trend,
intellettuali doc, non senza parecchio trash. Con il Pippo d’Italia,
ossequioso, a fare gli onori di casa, il sindaco Scapagnini assiso alla sua
sinistra (a destra c’era il corridoio), un po’ di Università spalmata qua e
là, artisti a macchia di leopardo - Franco Battiato e Manlio Sgalambro - Entità
politiche ed istituzionali - da Fabio Granata a Enzo Bianco - il vippume
catanese leopardianamente a mirare e ad essere mirato.
Ciò nonostante nell’attaccamento “religioso” a ciò che deve
essere ricordato “Questa terra diventerà bellissima” sebbene eviti di
trasformare i morti ammazzati in martiri luminosi - di fare insomma l’apoteosi
dell’Antimafia (Sciascia ci aveva avvisati in tempo) – e non sfuggendo
comunque ad una certa verbosità, alle tentazioni manieristiche che affiorano
nella prima parte, è certo indubbiamente autentica: ogni tentativo di svilirne
la forza di civile impegno non farebbe che fraintenderla e minimizzarla,
ascrivendola alla categoria reazionaria del “tanto tutto è inutile”. La
concitata staticità (da tragedia greca) della intelligente rilettura registica
di Giovanni Anfuso dona ai due atti, rispetto alla precedente rappresentazione,
tempi più raggrumati e sveltiti, accompagnati dalle contaminazioni audio-visive
e dalle musiche avvolgenti di Nello Toscano.
Al centro della scena e della narrazione è la voce della Mater-Sicilia che
moltiplica la Storia delle sue stragi di mafia nella storia della tragedia dei
singoli – magistrati, poliziotti, vedove - che in nome di quella memoria hanno
rifiutato orgogliosamente il ruolo di comparsa o di vittima silenziosa, cui i
manichini calati in scena alludono. Noi – aveva precisato Cavallaro – non
siamo uomini di potere, non decidiamo le sorti del mondo, raccontiamo come
‘cronisti’ perché la memoria non diventi esercizio sterile e affinché
tutto non accada nel silenzio”. “Questa terra diventerà
bellissima” allora non è solo il ricordo feroce di ciò che (ancora) siamo ma
il seme di quello che potremmo tentare di essere. Senza la mozione del cuore che
la pompa magna della platea (ma guarda guarda quanta gente a teatro!) ha
ostentato per pagare l’obolo (solo 2 euro!) della catarsi antimafiosa. Prima
di un consolante cornetto caldo, ovviamente.