Negata la chiesa di S. Nicolò La Rena: I Beati Paoli al Teatro Verga

Lunga chiacchierata con Giuseppe Di Pasquale, il regista dell'allestimento che apre la stagione dello Stabile e con Pietro Montandon, l'attore che veste i panni di Coriolano Della Floresta...





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Il Teatro Verga, con le lenzuola
bianche a mo’ di sudario sulle rosse poltrone di velluto, i minuscoli bagliori
delle consolle, le sagome scure di tecnici e degli attori che s’ingarbugliano
sul palco è altrettanto surreale della Catania annerita e attossicata dalle
imponenti nubi di polvere che piovono dal vulcano. Il regista de “I Beati
Paoli”, l’attesissimo spettacolo che inaugura la stagione dello Stabile, è
Giuseppe Di Pasquale  (lo stesso
che, a quattro mani, insieme a Gaetano Savatteri ha ridotto il capolavori di
Natoli per le scene). Lo scorgiamo intento a dettare i movimenti degli attori e
l’intensità delle luci sul palcoscenico ancora in fieri. Manca l’imprimatur
ecclesiastico e il Teatro Stabile si vede costretto ad aprire la sua stagione
non più sullo sfondo naturale dell’imponente chiesa di San Nicola La Rena,
nel complesso monumentale del  Monastero dei Benedettini, ma sui legni del Teatro Verga. Una
decisione che espropria lo spettacolo di una dimensione non solo scenica ma
soprattutto storica. “Era un aggancio fortemente voluto - sottolinea Di
Pasquale - perchè presente all’interno del romanzo: Blasco di Castiglione
nasce infatti nel 1693, l’anno della tragedia spaventevole del
terremoto ma anche della costruzione del plesso benedettino intendevamo insomma
pensare ad uno spettacolo che coniugasse la storia, l’architettura e
l’urbanistica alla drammaturgia. Tutto ciò ha spaventato la Curia catanese:
noi (signorilmente n.d.r.) non abbiamo voluto impelagarci in un inutile
braccio di ferro. Ne abbiamo solo preso atto”. E poi conclude: “C’è paura
per le cose che non dovrebbero far paura alla Chiesa” sulla quale, a questo
punto, sembrerebbe aleggiare il terrore per… questi giacobini post
litteram.
“così – continua Di Pasquale 
- abbiamo dovuto condensare nello spazio limitato della scena l’epopea
dei Beati Paoli, virtualizzando con le diapositive la suggestione del reale; un
trasferimento di una idea di scenografia che comunque preesisteva (lo spettacolo
girerà per altri teatri) incentrata su un grande spiazzo lastricato: dovevo
trovare una connessione con l’idea di uno spazio che rappresentasse una
Sicilia pietrificata annullando la scenografia settecentesca e tardo barocca di
Palermo. E poi la base di pietra è un topos, l’origine e la fine del
nostro rapporto di siciliani col mondo”. Nel cimento di questa
riduzione, gli chiediamo, quante sono state le intrusioni, gli interventi
personali degli autori? “Lo spettacolo - precisa - è liberamente ispirato
al romanzo perché dal punto di vista drammaturgico il nostro intervento è
stato massiccio: ecco, metà lavoro lo ha fatto Natoli l’altra metà
l’abbiamo fatto noi…” Che tipo di lettura avete dato al testo? “Non
ammicchiamo certo all’opinione che vede nel romanzo la legittimazione della
mafia: piuttosto una divertente e divertita indagine sul rapporto tra la
proiezione dei sogni del popolo e l’aspirazione ad un superuomo”. Insomma,
questi Beati Paoli si muovono tra Voltaire e Nietzsche, con un doveroso
avvertimento: “Qualora la si prendesse sul serio, la prospettiva superomistica
diventerebbe pericolosa. L’idea di giustizia incarnata da Coriolano è
affascinante ma utopistica. Col gioco ironico sulla vicenda e sui personaggi
invitiamo il pubblico a divertirsi all’interno di quel sogno che è il
teatro”. La realtà è ben diversa, non è feuilleton… A vestire i
panni di Coriolano Della Floresta è l’attore catanese Pietro Montandon. “I
Beati Paoli” – ci confessa - sono stati una appassionate frequentazione di
gioventù. Soprattutto Coriolano è un personaggio che ha covato nel mio
immaginario sin dalla prima lettura; poi quando Giuseppe Di Pasquale mi ha
comunicato che l’avrei interpretato io ho fatto un salto di gioia, comu
n’picciriddu -
rincara -; insomma per me è la realizzazione di un sogno.
Altro che Blasco di Castiglione! Il perno della storia è Coriolano, questa
sorta di  “superuomo”, un individuo al si sopra di tutto e di
tutti, quello che in realtà regge le fila dei Beati Paoli”. Montandon ammette
però che si è trattato di un sogno assai impegnativo: “Non nascondo di avere
avuto delle difficoltà davanti a questa stella di prima grandezza, che si
manifesta soprattutto nella seconda parte dello spettacolo come capo conclamato
sia per gli stessi Beati Paoli sia per Blasco e questo segna anzi l’inizio tra
i due di un rapporto che va al di là della semplice amicizia: è una sorta di
iniziazione, una complicità intellettuale e culturale”. Però, aggiungiamo,
venticinque attori (e tante stelle) sulla stessa scena…”Abbiamo sposato
tutti insieme questo progetto - conclude Montandon - con grande entusiasmo: e se
prima eravamo un po’ guardinghi ma solo nei confronti del testo, si è poi
consolidato un istinto corporativo. Mi preme sottolineare la professionalità
dei ragazzi della scuola dello Stabile: sono stati bravissimi”.

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