RE: FRANKENSTEIN: PAURA DELLA MORTE, PAURA DELLA VITA

StabileCresce di spettacolo in spettacolo l’interesse per Te.St., la rassegna del Teatro Stabile di Catania incentrata sulla nuova drammaturgia e sulla sperimentazione. Il penultimo appuntamento in cartellone prevede un’interessante apertura al panorama europeo con una prestigiosa compagnia - Stuffed Puppet, fondata nel 1978 da Neville Tranter - che rappresenta l’avanguardia del teatro d’animazione. Lo spettacolo, programmato in collaborazione con le rassegne “Gesti” e “Altre Scene”, sarà programmato al Teatro Ambasciatori il 24 e 26 aprile.

Lo straordinario marionettista australiano Neville Tranter, stabilitosi in Olanda da ormai 25 anni, è soprattutto un grande attore che guida, presta la sua voce, dirige, ma al tempo stesso “serve” le sue grandi marionette. Così anche in Re: Frankenstein, dal racconto di Mary Shelley.

Nel suo brutale, spietato ma poetico linguaggio, Tranter presenta al pubblico le proprie paure e i propri sogni, impulsi e desideri personificati dai pupazzi. Combinando una scenografia essenziale a musiche, suoni e luci ricercate; solo sul palco con nient’altro che i suoi pupazzi e alcuni assistenti dietro le quinte, Tranter è capace di evocare immagini che lo spettatore non dimenticherà per lungo tempo. La sua combinazione di umorismo nero e di virtuosismo ha fatto cambiare idea a chi pensava che il teatro di figura non avesse nulla più da offrirgli. Oltre a Re:Frankenstein, Stuffed Puppets ha in repertorio Molière e Schicklgruber. Una nuova produzione è completata generalmente in tre anni di lavorazione.

Re: Frankenstein è uno spettacolo sull’inseguimento dell’illusione e la perdita dell’innocenza, sull’amore mutato in odio e l’orgoglio trasformato in senso di colpa. Il dottore, nella sua ricerca per creare il proprio mostro, alla fine distrugge se stesso. Spiega Tranter: “La creatura è dentro di noi, non possiamo lottare contro di essa. L’uomo deve vivere con le proprie (in)abilità, questa è la vera lotta”.

Il lavoro è ispirato al romanzo di Mary Shelley e al testo teatrale di Wolfgang Deichsel. Se i presupposti letterari e filmici rimangono tali, sono altre le urgenze, altro il motivo dell’esplorazione negli abissi del senso di colpa, che insieme alla gelosia, viene ricordato, è il più umano dei sentimenti, forse perché scaturisce dalla più forte delle debolezze: la paura; che è paura della morte, sì, ma spesso anche paura della vita. Si attorciglia attorno a questo dilemma l’unico interprete "umano", protagonista esso stesso ed al contempo sacro servo di scena, prendendo tra le braccia, come un piccolo dio che trae dalla polvere le sue creature, gli altri attori, che sono grotteschi ed espressionistici pupazzi, in scala realistica, di Frankestein, una spiritata via di mezzo tra Goethe e Wagner, ed i suoi quattro comprimari: sua figlia, un poliziotto cinico e la Cosa, su cui un led rosso batte il tempo del suo cuore senza memoria e quello di tutti i protagonisti e che con essi, poi, si spegnerà.

Vi sono richiami storici drammatici come quello ai campi di sterminio nazisti, dove si narra che il dottore abbia cominciato a ricercare la sua folle idea di bellezza tra i corpi martoriati dei deportati, da qui il nome della sua prima creazione/figlia l’ingenua e mostruosa “Anna Frank estein”, e alla scienza moderna con una critica al vetriolo alle nuove tecniche riproduttive “cloning is like clowning!” (gioco di parole tra clonare e clowneggiare).

Lo spettacolo, interpretato in un inglese e tedesco di facile comprensione, ma comunque agevolato da sottotitoli su schermo nero, scorre via per più di un’ora senza mostrare cedimenti. Tranter, con voce a volte tonante a volte querula, dona senza risparmio parole e gesti, in breve l’anima, a questi pupazzi di stoffa, tanto da rendere quasi impossibile pensare che lo siano davvero quando sono tra le sue mani, quando a lui si rivolgono con interrogativi o minacce, quando nel finale, ormai “davvero” solo, canta per loro una struggente canzone d’amore e di innocenza.

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