"Storia d'Amore e d'Anarchia" debutta al Verga

Giuliana De Sio domina la scena. Al suo fianco Elio (leader delle Storie Tese) convince. Cast sopra le righe per i due atti che nel lontano 1973 diventarono film.

Un tappeto di
enormi rose rosse (come il sangue, come la passione), ricopre la scalinata del
postribolo-universo della Roma fascista – e forse davvero era tutto un
‘bordello’ mentre c’era Lui – sul quale incedono gerarchi e lucciole,
con le loro esistenze piccole piccole, volgari, tenere e disperate. Lungo la
“Storia d’Amore e d’Anarchia” - i due atti di Lina Wertmuller prodotti
dal Teatro Eliseo che lo Stabile ha presentato sugli affollati legni del Verga -
e lungo quel tappeto sfacciatamente sensuale, ma soprattutto “spazio
metaforico, amaro, demistificatorio e grottesco”, il sempliciotto Tunin (un
Elio assolutamente a suo agio a rendere uno scalcagnato spaesamento) e una
esuberante Salomè - “contadino e puttana”, dunque, manzonianamente “genti
meccaniche” – innescano, attorniati da una stratificata varietà di
caratteri e di tipi, una storia di personali e ideali rivalse, sorta di
‘hilaotragoedia’ in musica, che dovrebbe culminare nel liberatorio attentato
al Duce. Se Salomè, splendidamente resa dall’aggressiva e tenera sensualità
rosseggiante di Giuliana De Sio, prostituta impudica a volte ma verace e
intimamente libera, costruisce la ‘bildung’ di Tunin alla politica, alla
lotta antifascista, è Tripolina (una ispirata Valeria Milillo) ad iniziarlo ed
innalzarlo all’amore. Lo spettacolo, perfettamente confezionato in tutte le
sue sfumature drammaturgiche, musicali e scenografiche ondeggia tra accattivanti
accenni alla rivista – c’è a volte un lucore da “Stardust” sordiana nei
corali interludi in musica (il film dell’Albertone è pure del ’73), col
siparietto delle “ragasse” ad evocare le “sisters” canterine della
tradizione americana – e dense citazioni letterarie (da Soldati a Flaiano)  ad aggiungersi al felice motivo della “Canzone
arrabbiata”, pezzo forte delle gradevoli composizioni di Cinzia Gangarella, 
abbarbicato a tutta la messa in scena. Ma, nonostante emerga la mano
straordinariamente sapiente della Wertmuller, a mischiare dramma e sberleffo, il
meschino ‘milieu’ del littorio a quello della mitologia profumata ed oscena
delle “case chiuse”, “Storia d’Amore e d’Anarchia” riserva lunghe
sequenze monocordi, per riemerge con prepotenza nel convulso e tragico finale:
diventando scoppiettante (anche ideologicamente) quando contrappone la bella
Salomè e Tripolina a perorare le loro ragioni: i tormenti della lotta a quelli
vincenti del cuore. Già: “vestite da troie dentro un sogno”, le ragazze
della “maison” dipingono il mondo rabbioso e misogino dell’italietta 
in orbace, tronfia e spaccona alla maniera fioritissima della regista
attraverso una vicenda ed una ambientazione in parte sfruttate in letteratura
(dal primo Lucarelli a Lucio Trevisan) e che, tra le righe, lasciano intravedere
il misero mondo dello sfruttamento e della violenza.

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