TORNA CAMILLERI E IL SUO BIRRAIO DI PRESTON

StabileCon Il birraio di Preston lo Stabile di Catania riprende e rinnova, dieci anni dopo, un allestimento di grande successo, che al fascino del racconto camilleriano affianca l’avvincente regia di Giuseppe Dipasquale, coautore della riduzione e qui alla testa di un cast eccellente. A firmare le scene è Antonio Fiorentino, i costumi Gemma Spina, le musiche Massimiliano Pace, le luci Franco Buzzanca. In scena agiscono Pino Micol, Giulio Brogi, Mariella Lo Giudice, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe insieme a Mimmo Mignemi, Angelo Tosto, Franco Mirabella, Margherita Mignemi; e ancora Cosimo Coltraro, Giampaolo Romania, Sergio Seminara, Ester Anzalone, Chiara Cimmino, Alberto Bonavia, Stefania Nicolosi.
L’appuntamento è al Teatro Verga, dal 6 al 25 gennaio 2009.

Fervono intanto le prove per dare vita al plot ambientato nella seconda metà dell’Ottocento in un piccolo paese siciliano, che nella topografia camilleriana è il solito Vigàta, ma quasi un secolo e mezzo prima dell’avvento di Montalbano. Nel comune sorge la necessità di inaugurare il nuovo teatro civico “Re d’Italia”. Il prefetto di Montelusa, paese distante qualche chilometro, ma odiato dagli abitanti di Vigata perché più importante e sede della Prefettura, s’intestardisce di aprire la stagione lirica con Il birraio di Preston, melodramma di Ricci di scarso valore.

In realtà nessuno vuole la rappresentazione di quell’opera. Ma il Prefetto obbliga addirittura a dimettersi ben due consigli di amministrazione del teatro pur di far passare quella che lui considera una doverosa educazione dei vigatesi all’Arte, al Sublime. I circoli culturali locali si disputano allora la decisione circa la scelta del titolo da rappresentare, ma il Prefetto Bortuzzi, fiorentino, facendosi forte della sua autorità impone la propria volontà. Si arriva quasi a una guerra civile tra le due fazioni…

Osserva il regista Giuseppe Dipasquale, direttore dello Stabile etneo: “Come ormai sembra essere chiaro nello stile di Camilleri, il racconto parte da un fatto che vuole essere di per sé stupefacente, affabulatorio, misterioso e incantatore. Proprio come il “c’era una volta” dei bambini. E di un bambino si tratta: l’occhio innocente di un bimbo, per purezza nei confronti del mondo, per incontaminazione, per il suo essere “fanciullino” è il motore dell’azione. Ad esso è destinata, in apertura del romanzo, la scoperta dell’unica grande tragedia che incombe su Vigàta; le altre saranno come delle ipotragedie in questa contenute e da questa conseguenti. Ossia lo spaventoso incendio che nell’originale struttura narrativa costituisce l’inizio e al tempo stesso la conclusione del racconto”

Come ne La concessione del telefono, Camilleri parte da una vicenda storicamente documentata, che reinventa e rinvigorisce con la sua fantasia affabulatoria e la sua sperimentazione linguistica.

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