Tre cannibali in zattera. Debutta al Piccolo "In alto mare"

Il testo di Mrozek mantiene a quattro lustri dalla sua prima rappreesentazione tutta la sua carica assurda e demistificante.

I tre sulla
zattera, sì proprio una zattera sgangherata che fluttua alla deriva sul
minuscolo oceano del palco del Piccolo Teatro, attendono “In alto mare” –
così si chiama l’atto unico di Miroslav Mrozek che ne inaugurava la stagione
– che la platea si colmi poco a poco, immobili e assorti nei loro ruoli. Il
Grosso (l’aderentissimo e ‘barbabluesco’ Vincenzo Failla), il Medio
(Francesco “Bolo” Rossigni) ed il Piccolo (Andrea Dezi), nonostante la loro
condizione di naufraghi, non danno segni di impazienza. Anzi, pare che scrutino,
lontano, un punto dell’orizzonte: qualcuno finge pure di interessarsi alle
onde pigre. Ma la tempesta è in agguato: non certo metereologica, piuttosto
umorale e verbale. I viveri sono infatti finiti ed è necessario scegliere chi,
con il proprio sacrificio, sfamerà gli altri due. Si innesca da qui una spirale
sempre più serrata di stratagemmi, di raggiri, di espedienti attraverso cui
ognuno tenta di salvare la pelle a danno dell’altro; una gara al massacro
devastante e grottesca, che tra l’altro allude alle “finzioni” delle
odierne democrazie. Si scatena perciò una competizione filosofica senza
esclusione di colpi (bassi, bassissimi): e ondeggia il legno, così come gli
umori dei tre; variano pure sfacciatamente le loro opinioni, ognuno
spudoratamente a perorare la sua (contraddittoria) verità attraverso un sottile
gioco tragico ed ironico (e forse non è un caso che i tre indossino un 
frac). La zattera diventa ‘civilissimo’ e larmoyant ‘ring’: e giù
allora con le mozioni del cuore che questi “fratelli commensali”
commuovendo, imbandiscono per salvarsi, millantandosi orfani o malati gravi. In
quello che si prefigura come uno stallo permanente sono altri i personaggi che
consentono alla vicenda di ripartire, una postina e un servitore inattesi:
comunque provvidenziali o sgraditi, sono loro a riportare la situazione allo
status quo. A sottolineare l’impostazione surreale di questa messa in scena
anche le sagome di un’orchestrina jazz (Nello Toscano, Angelo Lazzeri e
Rossano Emili) che segna lo scorrere del tempo intonando uno swing, con il
clarino (oh, che strumento irriverente!) ad imporsi su contrabbasso e chitarra.
La pazzia del prescelto non è nemmeno una via di fuga - sancita da un
paradossale e straniante brindisi collettivo - considerato che il martire verrà
mangiato “con il proprio consenso interiore". La piece di Mrozek - erede
della tradizione di Gombrowicz e di Witkiewicz – assurge ancora dal lontano
1961, a simbolo della catastrofica condizione umana e delle sue leggi assurde.
Nella regia di Stefano Alleva non è solo “figurazione di un simposio politico
atemporale” ma, arabescata da frizzi e spassosi diversivi, si innalza ad
inquietante e atroce sghignazzo.

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