Troppo facile dire che è tutta colpa dei cinesi. Già, perché se il polo commerciale di Misterbianco - protuberanza trentennale dell'osannata Catania-Milano-del-Sud - oggi registra chiusure e licenziamenti a raffica, non è certo colpa dei musi gialli. Stanno lì, pazienti.
Aspettano che fallisca l'ultimo negozio, entrano - mazzette di euro alla mano - e affittano, cambiano l'insegna, piazzano le lanterne, sistemano le scarpe a 5 euro negli enormi spazi rimasti vuoti; e si alimenta il mistero di questo assalto danaroso e aggressivo, spesso senza alcuna apparente logica di business.
«Ci hanno colonizzato», è il grido che abbiamo raccolto a Misterbianco. Dove gli imprenditori sono in preda alla sindrome della formica orientale: «Ne vedi una, poi ti distrai un attimo e sono un milione... ». Ma i cinesi-colonizzatori sono l'effetto e non la causa della crisi del commercio in Sicilia. La novità, semmai, è che oggi non si limitano a fagocitare gli spazi nei centri storici delle nostre città; entrano anche in quelli della grande distribuzione, della vendita all'ingrosso, di quei «nuovi, spaziosi e luminosi locali» che fino a qualche anno fa inorgoglivano i nostri commercianti. Eppure non è colpa dei cinesi.
C'entrano la crisi e il calo dei consumi, come in ogni cosa che succede negli ultimi mesi. La responsabilità maggiore, però, sta nella dissennata politica di gestione dei piani commerciali. Il principale indiziato dell'eutanasia di centinaia di imprese - a Misterbianco, ma non soltanto - è l'accerchiamento di decine di centri commerciali sorti negli ultimi anni nell'hinterland etneo. Un'offerta del tutto sproporzionata rispetto alla domanda dei potenziali clienti. E così ogni nuovo ipermercato che apre (al netto degli "affari" che si fanno prima) cannibalizza quelli già esistenti. Una catena continua: altre richieste, altri progetti, altri centri commerciali, altre promesse di assunzioni, altri fallimenti.
No, questo non è sviluppo autentico. È un modello "dopato", una bolla che è già esplosa in tutta la sua drammaticità. A farne le spese sono stati già i negozi dei centri storici, stavolta tocca al polo old style di Misterbianco. Avanti il prossimo, nella batracomiomachia dei centri commerciali a cui svendiamo la nostra anima. Fino al punto di meritarcela, questa triste Chinatown sotto casa.
lasicilia.it
26/06/2012
Commenti
condivido e sottoscrivo...
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Guardiamoci in faccia e diciamoci la verità, nulla è stato fatto per salvare il salvabile.
La zona commerciale e le attività presenti nell’area hanno rappresentato per l’amministrazione la “gallina dalle uova d’oro”, la vacca da mungere, il bacino destinato ad accogliere la promessa di un posto di lavoro, previo giuramento di eterna ed incondizionata riconoscenza del lavoratore al promittente “padrino”. Di contro: nessun piano di qualificazione commerciale, nessuna azione di promozione, nessun investimento. L’amministrazione ha assistito immobile all’esplosione della bolla.
Oggi come ieri, è necessario un piano di riqualificazione commerciale; occorrono interventi volti alla realizzazione di servizi innovativi comuni fra gli operatori dell’area; servono azioni di promozione, svolte in maniera congiunta fra gli operatori, finalizzate alla rivitalizzazione della rete distributiva e ad aumentarne l’attrattività; è indispensabile la creazione di sportelli per il coordinamento delle politiche di riqualificazione e di animazione dell’area commerciale, anche attraverso la costituzione di apposite società di gestione.
Di fronte a questa realtà, al netto della polemica, sarebbe un errore imputare il disastro elusivamente all’accerchiamento di decine di centri commerciali sorti negli ultimi anni nell’hinterland etneo.
L’attuale amministrazione si trova oggi ad un bivio: il rilancio o la riqualificazione della zona commerciale (c’è pura una terza via, quella dell’immobilismo e della rinuncia all’unica opportunità di sviluppo).
Attendiamo, impazienti, la prima mossa.
l’accerchiamento di decine di
l’accerchiamento di decine di centri commerciali avrebbe dovuto essere il segnale inequivocabile che qualcosa andava fatto. sono dubbioso sulla "società di gestione", purtroppo non ce ne sono (o non ne conosco io) di esempi virtuosi in giro (per la Sicilia). sul bivio concordo, non vedo alternative...
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